Babylonia è un mondo strano. Babylonia è un feudo che fagocita i suoi abitanti e in alcuni casi li salva, in altri li condanna.
E così è per Mattè, che trova un libro di italiano uguale al sui, ma con gli esercizi già svolti, e viene convinto dal bel Lorè di aver fatto un colpo grosso: potranno copiare i compiti senza versare una goccia di sudore.
Ma a Babylonia nulla è semplice e una banalissimo libro “preso a prestito” è capace di fare infuriare altri abitanti del feudo e di scatenare le ire funeste dei grandi, mettere in guerra due mondi che non sono più in grado di comunicare. Ma a Babylonia le risorse sono infinite, e quando sembra arrivata la fine, si è solo all’inzio di un’altra storia, di un’altra avventura, di un’altra guerra.
Babylonia è un libro corale dove i protagonisti, assieme a Mattè, sono i bambini del feudo. Ma non solo. Lo è Babylonia stessa, protagonista: un microcosmo fatto di regole non scritte, che spesso stridono con il mondo dei grandi, e che trova il suo compimento soltanto con l’ingresso dei suoi abitanti nella fase adolescenziale, passaggio metaforicamente d’impatto nelle pagine finali del libro. È un mondo complesso, dove nessuno può sgarrare, e i ruoli sono ben distinti. Babylonia è simbolo dell’età di mezzo, quell’età in cui non si è ancora adolescenti, ma già si è persa la fanciullezza e l’innocenza tipica dei bambini. Babylonia non esiste, eppure ci abbiamo abitato tutti quanti.
Davide ci descrive tutto ciò con il linguaggio della strada. I dialoghi sono in un dialetto del centro Italia, di pasoliniana memoria, che contrasta la ricerca, quasi poetica, della prosa del narratore. Gli scambi di battute tra i bambini ci buttano in una realtà di strada e di fatica quotidiana dettata dalla sopravvivenza a un mondo come Babylonia.
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