L’Ippopo… cerca di esaudire una sorta di promessa che feci a me stesso all’epoca della pubblicazione delle Filastrocche al pianoforte su poesie di Gianni Rodari, edite dalla Suvini Zerboni. Quando mi accingo a comporre pezzi facili mi riprometto solitamente di attenermi ad una scrupolosa elementarità di mezzi e finisco invece per complicarne progressivamente la scrittura fino a portarla, di fatto, ad un più alto livello di difficoltà, rispetto a quello originariamente immaginato. Dev’essere la mia formazione conservatoriale a farmi sistematicamente eludere soluzioni troppo semplificate. Ciò accadde con i brani rodariani, poi con Tre per due, i pezzi a sei mani editi dalla Schott e, infine, anche con i recenti canti de Il cow-boy misterioso su poesie di Roberto Piumini – pubblicati in questa stessa Collana – che, nati a una voce, a causa di questa mia irrefrenabile necessità di elaborare ulteriormente sono via via diventati a due.
A ciò si aggiunge la tendenza a non mantenere, in una medesima serie di pezzi, un livello di difficoltà omogeneo, differenziandone invece le difficoltà tecniche ed espressive. Ma questo è un fatto sul quale ho meno remore: non è detto che ogni raccolta di composizioni debba necessariamente essere pensata tutta per un primo, secondo o ics grado di difficoltà. Anzi: al di là di una omogeneità di massima quanto ad ambito tecnico ed espressivo, trovo che una certa progressione e differenziazione tra le singole parti dell’insieme sia più stimolante ed offra maggiori possibilità di scelta. D’altra parte non si tratta di metodi ma di raccolte.
Accingendomi dunque a far fruttare in termini pianistici il mio assai gradevole incontro con le filastrocche di Scialoja mi ripromisi di attenermi al massimo livello di semplificazione per me possibile. Non so quanto io ci sia riuscito. Sicuramente non ho potuto esimermi dal rivolgere una particolare attenzione alla mano sinistra, solitamente mortificata da semplificazioni che mirano al massimo di accessibilità in fase di approccio pianistico. Semplificazioni che rendono però spesso disarmanti e spoetizzati i brani facili per l’infanzia, con quei bassi ridotti a pura delineazione dei gradi armonici fondamentali o a schematici abbozzi di bassi albertini. Quindi il didatta potrà ben dire: carini i pezzi ma poco praticabili a causa della gestione della mano sinistra. D’altro canto però, in queste scelte un poco più problematiche risiedono sempre piccoli, evidenti nuclei di tecnica pianistica (un meccanismo di interdipendenza delle dita, una articolazione ritmica differenziata, un contrasto di accentuazioni) che potrebbero rappresentare proprio uno dei pregi e delle utilità di questi pezzi.
Ancor più accattivante fu l’incontro con queste filastrocche quando James Demby, compagno di frequentazioni conservatoriali e carissimo amico, mi rivelò di esser lui l’allora nipotino per il quale Toti Scialoja aveva intrapreso la feconda produzione di questi nonsense per l’infanzia. A lui cedo dunque la parola per una gustosa testimonianza della genesi di questi deliziosi cammei poetici.
(Giovanni Piazza)
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